mercoledì 8 aprile 2009

Buon acciaio da Detroit


One dollar, baby. Buy a house for 1 dollar. Con quel che ho nel portafoglio potrei comprarmi un caseggiato intero. Detroit. E dire che qui mi sogno molto meno di una casa. 

Sono tanti gli edifici vuoti e sigillati, i terreni tornati verdi dopo le demolizioni; scheletri di case date alle fiamme dai proprietari per incassare l'assicurazione,o bruciate dai senzatetto nel tentativo di scaldarsi nell'inverno del Midwest. Teatri, alberghi, palazzi, chiese; rovine americane sono gli scatti di Yves Marchand e Romain Meffre. Grattacieli di ruggine, come quello che sovrasta la stazione ferroviaria completamente abbandonata.  

Detroit è la città in cui il tempo scorre come un fiume tra una crisi e l'altra. Fino agli anni cinquanta era ricca, era la capitale mondiale dell'automobile. Costruita a immagine e somiglianza di Henry Ford. Produrre e consumare; è così che ogni operaio costruiva le macchine che poi comprava. La città cresceva, arrivavano immigrati da ogni dove: due milioni di abitanti. E tanti i neri. E tra questi Aretha Franklin, Stevie Wonder: rythm & blues tra una sirena e l'altra.  

Si vede però che certe città vivono solo per lavorare. Negli anni settanta arrivò la crisi petrolifera, poi la concorrenza straniera: le fabbriche chiudevano, migliaia i disoccupati. I ricchi, bianchi, si spostarono nei sobborghi, villa e giardino, armati fino ai denti. Le città si svuotano e arriva il cinema: Robocop, Il corvo - degrado urbano, paesaggio morale...questa è Detroit. La dura vita della Rust Belt. Fino a Grosse Point, dove il fiume Detroit si getta nel lago St. Clair e gli ultimi ricchi di Motor City vivono tra barche e ville di lusso.

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