venerdì 17 luglio 2009

A/H1N1: il WHO smette di contare i casi

The widespread epidemic of an acute catarrhal affection in Spain, which was stated in our last issue to be most probably influenza and attended by little or no mortality, is now reported to have caused 700 deaths in ten days, but if the number of cases has been as large as reported the case mortality must have been very low."

 Scriveva così BMJ (il British Medical Journal) nel lontano 1918, in uno dei suoi report sull'epidemia di influenza Spagnola (Gotch OH, Whittingham HE. A report on the "influenza" epidemic of 1918. Br Med J 1918;2:82-85.) E' curioso il parallelo con la pandemia da virus A/H1N1: incertezza iniziale sul numero dei casi, dibattito sul tasso di mortalità, maggiore o minore delle precedenti pandemie, e infine attenzione concentrata sulla gestione dell'epidemia e le misure di sanità pubblica. Sul New England Journal of Medicine è uscito un paper - gli autori sono tra i big del campo - centrato sull'eredità della pandemia del 1918, che è stato un evento dirompente.

In UK all'emergenza dovuta all'incremento del numero di casi, sta facendo seguito un po' di confusione tra le autorità sanitarie, anche nel modo in cui fornire informazioni. Sperando che da noi si tragga la lezione su come non gestire una crisi.

Dopo le dichiarazioni ottimistiche sulla possibilità di avere una vaccino già ad agosto, smentite dal direttore generale del WHO, e le linee guida contradditorie su come comportarsi rilasciate a medici di base e pazienti, il direttore generale della sanità pubblica inglese Liam Donaldson, già noto per una tendenza all'allarmismo, ha dichiarato che in UK potrebbero esserci 65.000 casi mortali (6 volte tanto quelli dell'influenza di stagione) prima che il vaccino sia disponibile. Ma sono proiezioni, non si sa quanto attendibili. Come riportato in un paper pubblicato dal gruppo di epidemiologia delle malattie infettive dell'Imperial College, i dati riguardanti la febbre suina non sono attendibili: tendono ad essere sottostimati sia i dati di mortalità - non sempre i casi fatali vengono correttamente identificati (un esempio difficoltà di assegnazione della causa di morte è quello del medico inglese Michael Day) - sia il numero di contagi.

Anche il WHO ha deciso di modificare i report di aggiornamento non tracciando più il numero di casi, nei paesi in cui l'epidemia è in corso, cosa ormai non più utile visto che il numero di casi confermati sembra essere abbondantemente sottostimato . Questo in conseguenza anche del fatto che i test di laboratorio, anche sui casi lievi, assorbono tempo e risorse sottraendole alla necessità di monitorare e seguire i casi più gravi e gli eventi eccezionali, come segnali di un aumento della virulenza. Aggiornamenti ad intervalli regolari sul numero di nuovi casi ed un adescrizione epidemiologica verranno forniti nel descrivere la situazione nei nuovi paesi affetti.. I paesi in cui la trasmissione è già a livello di comunità, dovranno invece fornire gli indicatori di monitoraggio dell'influenza stagionale.

Ma per il momento però la notizia più brutta è quella di un secondo focoloaio in Messico, dove i casi mortali nello scorso aprile/maggio sono già stati molti.

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