Un anno fa per la prima volta si sentiva parlare di influenza suina. A Mexico City la gente iniziava a girare per le strade con la mascherina e il panico si diffondeva sul web. Qualche mese dopo, l'influenza aveva già cambiato nome passando da "suina" a "influenza nuova": la potente industria della carne doveva rassicurare i suoi consumatori).
Un anno dopo sappiamo che il virus H1N1 non è stato killer che si temeva. L'allarme dei primi mesi è dimuito ed è rimasto in cronaca il grande affare dei vaccini di BigPharma e la denuncia che l'ennesimo allarme sanitario che si è rivelato una gigantesca montatura. Un editoriale, piuttosto cinico, pubblicato sull'Independent, che si aggiunge al folkloristico trionfo dell'irrazionale nel corso delle epidemie, ha persino immaginato il disappunto dei ricercatori di fronte a un virus che farebbe poche vittime.
In realtà, i dati della pandemia hanno prodotto, sulle riviste scientifiche, articoli su articoli: ad oggi su PubMed se ne contano 18878. Ma dovranno passare ancora due anni per avere tutti i dati e delle stime attendibili sul reale impatto di mortalità dell'influenza A.
A un anno di distanza dai primi casi, però, i dati iniziano a restituire l'immagine di un'ondata pandemica che è stata più severa di quanto sia comunemente percepito. E' il punto fatto da n articolo pubblicato su PLoS Currents Influenza da Cécile Viboud dell'US National Institutes of Health secondo il quale osservando i dati c'è la reale sensazione che la copertura giornalistica dell'evento sia stata inadeguata.
Ed ecco cosa raccontano i dati americani.
Utilizzando come fonte i certificati di morte, si ottiene una stima dei casi mortali che varia tra 7.500 e 12.000 casi. Si tratta di meno della metà del numero di vittime provocato ogni anno dall'influenza stagionale. Ma si tratta molto probabilmente una sottostima: i morti di influenza non sono registrati come tali, la causa di morte è spesso attribuita ad una condizione pregressa, per esempio una patologia cardiaca, il diabete. Un bel reportage della University of Southern California's Annenberg School of Communications and Journalism ha raccontato la storia delle famiglie di alcune vittime del virus H1N1 che ignoravano la causa di morte del loro familiare.
A rendere più fine l'immagine di cosa sia stata pandemia sono però altri dati: l'età media dei decessi e il numero di anni di vita persi.
Nella pandemie del 1968 e del 1957 l'età media delle vittime variava tra 62 e 64 anni; l'influenza di stagione colpisce soprattutto gli over 65 e l'età media si aggira intorno ai 75 anni. L'età media delle vittime dell'influenza A/H1N1 è stato di 37.4 anni.
L'età media dei decessi permette di calcolare il numero di anni di vita persi durante l'epidemia. Per avere un'idea dell'ordine di grandezza, negli US l'influenza stagionale comporta ogni anno la perdita di 594.000 anni di vita.
Per l'influenza nuova? Il dato ovviamente è ancora provvisorio e dice che se si considerano i soli casi di polmonite gli anni di vita persi in US potrebbero essere 334.000, ma se si considera la mortalità in eccesso (il dato confrontabile con i 594.000 anni di vita persi nell'influenza stagionale) il valore potrebbe arrivare a 1.973.000, un dato dello stesso ordine di grandezza della pandemia del 1968.
E la pandemia ha insegnato un'altra cosa importante: ha fornito il primo indizio che l'obesità è un fattore di rischio per complicanze influenzali.
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