martedì 7 dicembre 2010

L'omeopatia funziona? Forse sì, anzi no

La difficoltà della medicina tradizionale di accettare l'omeopatia è nel fatto che da un punto di vista scientifico non c'è nulla che giustifichi il meccanismo d'azione dei rimedi omeopatici.

Uno dei concetti fondamentali dell'omeopatia è quello di potenza: le potenze sono delle diluzioni di una determinata sostanza. Per esempio una potenza di 1C una parte di sostanza viene diluita in 99 parti di diluente e poi succussa. Una potenza 6C prevede che la sostanza originaria sia diluita per sei volte, ogni volta 1 a 100. 

A potenze elevate, secondo le leggi chimiche, il prodotto finale è così diluito, da non contenere più nemmeno una molecola della sostanza di partenza. Nella pratica, potenze omeopatiche di 30C e 200C con fattori di diluizione di 10 60 e 10 400 , rispettivamente, al di là quindi del numero di Avogadro di 6,023 × 10 23 molecole in una mole, sono abitualmente utilizzati.

Proprio la mancanza di prove dell'esistenza fisica del materiale di partenza rende difficile dare una spiegazione razionale del meccanismo d'azione dei prodotti omeopatici. Molte ipotesi sono state postulate per giustificarlo in qualche maniera, come per esempio la teoria della memoria dell'acqua, mai provata, cosa che fa ritenere alla medicina trazionalae che  l'omeopatia nella migliore delle ipotesi esercita un effetto placebo.

Un nuovo paper pubblicato ad ottobre su Homeopathy dimostrerebbe, invece, che nel prodotto omeopatico esisterebbe la sostanza di partenza in forma di nanoparticella o aggregato, fornendo un fondamento scientifico alla pratica omeopatica.

L'esperimento è stato condotto presso il Department of Chemical Engineering, Indian Institute of Technology (IIT), Bombay, India che ha raccolto una serie di rimedi omeopatici da vari produttori indiani in tre diverse diluzioni:  6C, 12C, 30C.

Sono poi stati analizzati i seguenti aspetti fisico-chimici della diluzione:

1. la presenza delle entità fisiche in forma di nanoparticelle e la loro dimensione;

2. la loro identificazione;

3.  è stato stimato il ivello di concentrazione delle sostanze.

Non commento gli aspetti tecnici dell'esperimento; non essendo né un chimico né un tecnico immagino che sia stato eseguito correttamente.

Cosa hanno quindi osservato i nostri sperimentatori? Hanno riscontrato la presenza di nanoparticelle e loro aggregati delle sostanze originarie (zinco, oro, stagno e rame) alla base dei rimedi omeopatici utilizzati. 

La conclusione che ne traggono è semplice: la presenza di queste nanoparticelle o aggregati di materiali di base, nonostante le potenze altissime, come 30C e 200C è stata sorprendente, dimostrando che le materie prime rimangono anche in diluizioni estremamente elevate.

Altra importante scoperta è che le concentrazioni raggiungono un plateau a potenza 6C: nonostante le grandi differenze nel grado di diluizione da 6C a 200C non sono state riscontrate grandi differenze nella natura delle particelle (forma e dimensioni) del materiale di partenza e la loro concentrazione assoluta (in pg/ml).

Dunque l'omeopatia funziona? sembrerebbero esserci le basi scientifiche per un discorso serio se solo i nostri bravi sperimentatori non si fossero dimenticati di discutere una delle possibili spiegazioni di quel che hanno osservato: il problema della contaminazione dei rimedi omeopatici.

Una spiegazione alternativa, e plausibile alla luce del ben noto problema di contaminazione da metalli pesanti dei prodotti ayruvedici o altri prodotti "alternativi" provenienti dall'India: è abbastanza probabile che gli impianti produttivi fossero contaminati da quegli stessi metalli che costituivano la sostanza originaria dei rimedi omeopatici analizzati. Anche per l'effetto plauteau, una plausibilissima spiegazione è legata al livello di contaminanti presente o negli impianti o nell'acqua utilizzata per la diluzione.

Una rivista con referees seri avrebbe chiesto di testare la presenza di contaminazioni nel processo produttivo dei rimedi omeopatici...

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