sabato 15 gennaio 2011

FIAT: sia il vostro parlare sì, sì; no, no

Sono un precario della ricerca e mi considero fortunato e privilegiato perché il mio lavoro non è duro e pesante come stare alle catene di montaggio. 
Come precario però mi sono fatto un'idea di cosa significhi vivere una condizione di lavoro sganciata da un sistema collettivo di tutela dei diritti, che non ha rappresentanza sindacale e che prevede una grande varietà di contratti. Contratti che scadono poi, forse, si rinnovano ma solo nell'ambito di trattative a carattere individuale: una testa, un contratto... un destino. 
E' il sistema che sta alla base della precarietà, che diventa sinonimo di ricattabilità, avallato da una politica sempre più disinteressata dalla realtà quotidiana delle persone. Questo succede da tempo nelle Università; questo succede da oggi anche nelle fabbriche della FIAT. E domani, dove succederà?
Nel mondo i governi stanno spendendo soldi per salvare l'auto, e tra i principali stakeholder del settore ci sono proprio gli Stati. Obama ha speso 60 miliardi di dollari per le Chrysler, Ford e Gm. Sarkozy ha speso 7 miliardi per Psa-Renault. La Merkel ha speso 3 miliardi per la Opel. In Italia gli aiuti pubblici sono finiti nel 2004. Per la Fiat, dunque, lo Stato non è un interlocutore. E non lo è il governo, che non ha un euro da spendere e un "titolo" per intervenire. Ecco perché Marchionne può andarsene, se crede e quando crede, con la "benedizione" di Berlusconi, che in due anni (di cui quasi uno da ministro dello Sviluppo ad interim) non ha trovato il tempo per convocare almeno una riunione sul caso Fiat. (Repubblica)

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