lunedì 24 dicembre 2007

Natale

Un racconto sul Natale, dal genio assoluto di Anton Cechov
(traduzione mia dalla versione inglese "At Christmas time", sorry for the bad job)
Russian_winter
I PARTE

"Che cosa devo scrivere?" chiese Yegor mentre intingeva il pennino nell'inchiostro.
Vasilisa non vedeva sua figlia da 4 anni. Da quando Yefimya dopo il matrimonio era andata a vivere a Pietroburgo aveva scritto ai genitori due lettere. Poi era sparita dalle loro vite: non più una parola, un segno.
Quando, ancora presto, mungeva la vacca, o scaldava la minestra, quando sonnecchiava la notte, Vasilisa pensava ad una sola cosa: come stava Yefimya, cosa le era accaduto. Bisognava che le scrivesse, ma il suo vecchio, non sapeva scrivere, e non c'era nessuno che lo facesse per loro.
Adesso che era arrivato Natale, Vasilisa non poteva più aspettare. Andò alla taverna da Yegor, il fratello della moglie dell'oste, che da quando era tornato dall'esercito se ne stava lì tutto il giorno a fare niente. La gente diceva che sapeva scrivere delle belle lettere, se lo pagavano bene. Vasilisa parlò con il cuoco, poi con la padrona e alla fine con Yegor. Si erano messi d'accordo per 15 copeche.
Il secondo giorno di festa, Yegor se ne stava seduto al tavolo nella cucina, con la penna in mano. Vasilisa stava in piedi davanti a lui con l'ansia e la preoccupazione dipinte sul viso. Pyotr, suo marito, un vecchio alto e sottile con una macchia sulla fronte stempiata era venuto con lei. Stava in piedi anche lui, guardava dritto davanti a sé come fosse cieco. Sulla stufa in una casseruola cuoceva del maiale; schizzava e fischiava e sembrava facesse "flu-flu-flu". Stava singhiozzando.

"Cosa devo scrivere?" chiese di nuovo Yegor
"Cosa?" chiese Vasilisa guardandolo con rabbia e sospetto. "Non farmi preoccupre! Non stai scrivendo per nulla, non aver paura, sarai pagato. Su, scrivi: Al nostro caro genero Andrej Hrisanfitch e alla nostra amata figlia Yefimya Petrovna con il nostro amore ci inchiniamo e mandiamo la nostra benedizione"
"Scritto; andiamo oltre"
"E vi auguriamo un felice Natale. Noi stiamo bene in salute e vi auguriamo altrettanto, lo voglia il Signore, il Re dei Cieli"
Vasilisa riflettè e scambiò un'occhiata con il vecchio.
" e vi auguriamo altrettanto, lo voglia il Signore, Re dei Cieli" ripetè iniziando a piangere
Non potè dire nient'altro. Come quando rimaneva sveglia la notte pensando, le sembrava che non sarebbero bastate una dozzina di lettere per dire tutto quello che sentiva in cuore. Da quando la figlia era andata via con suo marito, ne era passata di acqua sotto i ponti. Lei e il suo vecchio avevano vissuto come un lutto, guardando malinconici la notte. E quante cose erano successe nel villaggio, quanti matrimoni e funerali. Quanto lunghi gli inverni, le notti.
"Fa caldo" disse Yegor, sbottonandosi il panciotto. "Ci devono essere 17 gradi. Cos'altro?" chiese
I due vecchi se ne stavano silenziosi.
"Di cosa si occupa vostro genero a Pietroburgo?" chiese
"Era un soldato, mio buon amico" rispose il vecchio con voce flebile. "Lasciò il servizio più o meno nel periodo in cui lo lasciasti tu. Era un soldato e ora in verità lavora a Pietroburgo in uno stabilimento idroterapico. Il dottore cura i malati con l'acqua e lui in verità è il portiere della casa."
"E' scritto qui" disse Vasilisa tirando fuori una lettera dalla tasca. "L'abbiamo ricevuta da Yefimya, dio sa quando. Forse non sono più di questo mondo".
Yegor si fece pensieroso per un attimo e iniziò a scrivere rapidamente:
"Ora" scrisse " poiché il destino vi consegnò alla Carriera Militare, vi raccomandiamo di cercare nel Codice Disciplinare e nelle Leggi Fondamentali dell'Ufficio di Guerra, dove troverete la legge di Applicazione Civile degli Ufficiali dell'Ufficio di Guerra"
Mentre scriveva Yegor leggeva ad alta voce, e intanto Vasilisa pensava a quel che bisognava dire: quanto grande era stato il suo desiderio di mandarle una lettera l'anno prima, che il loro grano non era durato fino a Natale, che avevano dovuto vendere la vacca. Avevano dovuto chiedere dei soldi anche, e poi bisognava scrivere che il babbo era spesso malato e presto avrebbe reso l'anima a Dio... ma come dire tutto questo in parole? cosa mettere prima? cosa dopo?
"Prenda nota" Yegor continuava a scrivere "nel volume 5 del Regolamento dell'Esercito, soldato è un nome comune e un nome proprio, un soldato di primo rango è chiamato generale, e uno dell'ultimo un privato..."
Il vecchio increspò le labbra e disse debolmente:
"Sarebbe bello poter conoscere i nipoti"
"Quali nipoti?" chiesa Vasilisa e lo guardò con rabbia "forse non ce ne sono"
"Ma forse sì. Chi può dire"
"E in tal modo potete giudicare" continuò Yegor in tutta fretta "cos'è il nemico esterno e cos'è il nemico interno. Il principale dei nostri nemici interni è Bacco".

Yegor fece quasi stridere il pennino mentre tracciava sul foglio svolazzi come ami per i pesci. Aancor più velocemente rilesse ogni riga alcune volte. Se ne stava seduto su uno sgabello, con le gambe aperte sotto il tavolo; ben nutrito, scoppiava di salute, con una faccia rozza e un tozzo collo rosso. Aveva un'aria volgare: rozzo, presuntuoso, pieno di sé per essere nato e cresciuto in un'osteria. Vasilisiva sentiva la volgarità che emanava, ma non riusciva a capire cosa fosse. Lo guardava soltanto con rabbia, sospettosa. Le stava venendo mal di testa, era confusa dalla sua voce, da quelle parole incomprensibili, dal caldo, l'aria viziata. Non disse nulla e non pensò più a nulla, aspettò semplicemente che Yegor finisse di scarabocchiare. Il vecchio invece lo guardava con aria fiduciosa. Credeva nella sua vecchia che l'aveva portato lì e in Yegor; e quando aveva parlato dello stabilimento idropaterapico, credeva anche in quello e nel potere dell'acqua.
Quando finì di scrivere, Yegor si alzò e rilesse tutto dall'inizio. Il vecchio non capì una parola, ma faceva di sì con la testa.
"Va bene. Va bene" disse. "Che Dio ti mantenga in salute. Va bene..."
Lasciarono sul tavolo tre pezzi da 5 copeche e uscirono dalla taverna; il vecchio guardava fisso davanti a sé come fosse cieco; con la fiducia dipinta sul suo volto. Come Vasilisa uscì dall'osteria, fece un gesto di rabbia al cane per scacciarlo."Ugh, la piaga".
Non dormì tutta la notte, i pensieri la tennero sveglia. Quando si fece chiaro, si alzò, recitò le sue preghiere e andò alla stazione a spedire la lettera. C'erano otto, nove miglia da camminare.

FINE I PARTE
puoi leggere qui la II PARTE

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