venerdì 27 giugno 2008

Exxon Valdez: allegria di naufragi



Quando negli anni '70 gli indiani Chugach concessero alla Exxon Mobil il diritto di sfruttare i giacimenti petroliferi a Nord della laguna Prince Willam, volevano solo continuare a vivere come avevano sempre fatto: pescare nelle ricche acque dell'Artico, cacciare foche e orsi davanti alle imponenti montagne Chugach, per sopravvivere, secondo la tradizione.

Si accontentarono della simbolica quota di un dollaro; era la lista delle cose che la Exxon Mobil si impegnava a fare e non fare che a loro interessava. Come la gestione della sicurezza a bordo delle petroliere. Che la Exxon non garantì. La grande chiazza galleggiante di petrolio, 4o milioni di litri che si riversarono in acqua, fu una marea nera che si allungò anche sulle loro esistenze.

In quell'inizio di primavera artica del 1989, morirono 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre di mare, 300 foche, 250 aquile, 22 balene e poi un numero di salmoni e altri pesci che non è mai stato possibile contare. Uno dei più grandi disastri ecologici di sempre. Gli venne dato un prezzo: 3.4 miliardi di dollari per pulire quel che era stato inquinato più 5 miliardi di dollari per indennizzare pescatori e lavoratori marittimi.
Gli avvocati, questi girarrosti delle leggi che a forza di girarle e rigirarle finiscono per cavarne un arrosto per loro stessi, dopo 12 anni di ricorsi e cavilli, sono riusciti a far dimezzare il risarcimento. Mercoledì la Corte Suprema americana ha concesso alla Exxon Mobile un ulteriore sconto limitando l'indennizzo a 500 milioni di dollari.

Garland Blanchard allora aveva 30 anni e faceva il pescatore; aveva una moglie, due barche, una casa, un gatto e un cane. Oggi che si ritrova solo dopo il fallimento della sua attività, sperava in quei soldi. Gli spetteranno poche briciole da dividere con altre 33.000 persone.
"Our lives and businesses have been destroyed, and we get basically nothing."

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