Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino
Le Ali di Dio. Adel Abdessemed
12 febbraio - 18 maggio 2009
A cura di Francesco Bonami
Quanto costa il biglietto?
Quei soldi li do volentieri a una dolce signora che impegna la sua pensione per portare qualcosa da mangiare ai gatti del quartiere. L'arredo vivente più bello della città, e dell'anima. E non si dà arie d'artista.
La storiaccia dei video di Abdel Abdessemed era finita male già l'anno scorso al San Francisco Art Institute, dove le associazioni per la difesa dei diritti degli animali avevano protestato per farla chiudere. Ora la storia si ripropone alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Oh sì, naturalmente c'è chi definisce gli animalisti i nuovi censori dell'arte. E si dice che "La mostra vuole raccontare, per denunciarla, la violenza imperante sul pianeta, contro gli uomini e anche gli animali. Ma con un linguaggio scarno, feroce, teso a non nascondere la realtà." (La Stampa)
Eppure la verità è ben nascosta in questa farsa crudele che qualcuno non si fa scrupolo a definire "artistica". In un comunicato del San Francisco Art Institute si diceva che per girare i video: "The artist participated in an already-existing circuit of food production in a rural community in Mexico. The animals were raised for food, purchased, and professionally slaughtered. In fact, what causes the controversy is that Abdessemed, an artist, entered this exchange, filmed it, and exhibited it."
I video (sei) si aprono con l'immagine di un animale(un maiale, un cavallo, una capra, un vitello, un capriolo e una pecora) tenuto per una zampa legati ad un muro. Poi si vede un martello - chi lo impugna? - che li colpisce in testa, stramazzare in terra e il video riparte da capo.
Ora si vorrebbe far passare l'idea che il fine dell'artista è documentaristico. Se così fosse però dovrebbe spiegare se gli animali sono morti subito. Quanto hanno agonizzato. Come sono stati finiti. E poi, quanti ne sono stati realmente uccisi Sì, insomma anche le bestie, non se ne stanno ferme e buone ad aspettare che qualcuno gli spacchi il cranio. Avranno cercato di reagire muovendosi, hanno paura anche loro, sentono il pericolo: sembrerebbe che i video siano perfetti. E allora, quanti animali sono stati uccisi prima di ottenere la giusta inquadratura, la giusta luce. Quanti?
Se quella che si vorrebbe denunciare è una crudele pratica messicana, i video la riproducono fedelmente? Quanto è stata cambiata per le esigenze dell'"artista"? Questi poveri animali, sono stati venduti come cibo o per l'"arte" di Abdessemed? Il fatto che queste atrocità avvengano non ci dà il diritto di diventarne i registi, per quanto buone siano le nostre intenzioni.
«Sapevamo che ci sarebbero state polemiche -
aggiungono dalla Fondazione - ma noi continuiamo a sostenere questo artista e il valore delle sue opere. Perché l'arte ha e deve avere anche una funzione sociale» . Quello che a me pare invece è che questi spettacoli incoraggino l'idea che gli abusi sugli animali, che approfittare della loro docilità e del loro essere indifesi di fronte a noi è una via tutto sommato semplice per guadagnare attenzione e notorietà.
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