Tre articoli molto discussi sono stati pubblicati in questi giorni sul Journal of American Medical Association (JAMA).
Il primo riguarda la situazione messicana, dove si osserva una mortalità piuttosto elevata (il doppio di quella canadese) tra i casi gravi, e questo potrebbe essere dovuto ad un accesso difficile alle strutture e ai servizi sanitari. Il secondo ed il terzo sono rispettivamente uno studio canadese sui casi gravi di influenza A/H1N1 ed uno australiano/neozelandese sull'utilizzo della ECMO (la macchina per l'ossigenazione extracorporea) .
Quello che emerge è che nel 99% dei casi l'influenza suina si risolve in pochi giorni. Ma 1 caso ogni 1000 è talmente grave da richiedere il ricovero in unità di terapia intensiva (ICU) e tra questi 1 su 7 non ce la fa. Secondo lo studio canadese - e questa è la novità rispetto alle altre ricerche finora pubblicate - la gran parte di coloro per i quali l'influenza A/H1N1 ha un andamento severo sono sani (in maggioranza donne con un'età media di 32 anni): solo il 30.4% di chi viene ricoverato in ICU ha problemi di salute, in particolare obesità (con BMI>35), ipertensione e a rischio sono anche i fumatori. Lo studio poi conferma come categoria particolarmente esposta al rischio, le donne incinte.
Nello studio canadese il 4% dei pazienti ricoverati in ICU è stato trattato con l'ECMO. E l'ECMO, la sofisticata apparecchiatura utilizzata negli interventi a cuore aperto per mantenere la circolazione sanguigna che tenendo cuore e polmoni a riposo favorisceil loro recupero funzionale, è l'oggetto del terzo paper. In Australia e Nuova Zelanda, il tasso di ammissione nelle ICU è stato calcolato in 30 soggetti per ogni milione di abitanti (è facile fare una stima per la popolazione italiana) in un periodo di 3 mesi. Circa il 50% è stato ricoverato per sindrome da distress respiratorio acuto o per una polmonite virale, e il 20% per polmoniti batteriche secondarie. L'80% di chi riceve questo trattamento sopravvive.
In un editoriale a commento di questi lavori, sempre su JAMA, viene proprio fatto notare che la risposta medica alla pandemia è oggi molto diversa da quella del 1918 e per coloro che sviluppano complicanze sono disponibili antivirali,
antibiotici per le infezioni secondarie, la ventilazione meccanica e l'ossigenazione extracorporea. Ma avere a disposizione questo potenziale si trasforma in un obbligo da parte del sistema sanitario di sviluppare una strategia che permetta di estendere i benefici delle medicina intensiva al massimo numero di pazienti possibile. Che nel caso italiano significa anche avere una distribuzione geografica dei centri che possiedono l'ECMO, e il personale adeguatamente addestrato al suo utilizzo, un po' più omogenea e meno sbilanciata a favore del Nord.
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