martedì 17 novembre 2009

A/H1N1: la pessima via italiana alla comunicazione del rischio

In alcuni post mi sono pisu come il ministero comunichi male e in maniera scorretta i rischi dell'influenza A/H1N1:

l'affermazione che l'influenza pandemica è una normale influenza, cosa del resto smentita dal WHO e dalla letteratura scientifica;

il confrontare in maniera impropria il numero di casi mortali da influenza A/H1N1 (casi confermati in laboratorio) con l'eccesso di mortalità attribuita all'influenza di stagione.

Venerdì 13 novembre è stato pubblicato su Darwin Flu un articolo di Peter Sandman, uno dei più noti comunicatori del rischio (qui il suo sito web) il quale dà alla campagna informativa del governo italiano un giudizio pessimo.

"La campagna di informazione sui rischi dell'influenza pandemica H1N1 promossa dal Governo italiano ha scelto questo messaggio: «L'influenza A è una normale influenza». L'influenza pandemica H1N1, però, non è normale, se con questa parola si intende «nella media delle influenze stagionali».

Ecco alcune delle ragioni: finora la sua epidemiologia è stata radicalmente differente. L'influenza stagionale attacca tutte le classi di età, ma circa il 90% dei decessi che causa sono sopra i 65 anni. l'influenza pandemica, invece, infetta in misura molto minore gli ultrasessantacinquenni. Inoltre le persone al di sotto di questa età che si ammalano presentano un tasso molto maggiore di complicazioni e mortalità rispetto ai coetanei che mediamente contraggono i ceppi stagionali."

"[...] quando il meme per cui la pandemia è «come l'influenza stagionale» viene diffuso da figure istituzionali allora la comunicazione ha lo scopo deliberato di ingannare. Spesso l'intenzione di questo fuorviante meme della normalizzazione è di evitare che l'opinione pubblica si spaventi. Noi abbiamo scritto estensivamente su questo tema, ovvero su come i funzionari della salute pubblica abbiano paura della paura. Quando questo tipo di rassicurazione eccessiva si combina con degli sforzi per spingere il pubblico ad adottare più precauzioni del solito (N.d.r. dalle misure igieniche alla vaccinazione), il messaggio finale è ibrido ed è probabile che si riveli controproducente in alcuni modi prevedibili:

Alcune persone [...] non vedranno alcuna ragione per prendere delle precauzioni. Altri[...]prenderanno [...] le precauzioni, ma perderanno fiducia delle istituzioni da cui il messaggio proviene. Altri [...] cercheranno fonti di informazione non ufficiali per decidere come comportarsi. E tutti noi sappiamo che genere di informazioni si trovino nella blogosfera. Altre volte la colpa delle istituzioni è ancora maggiore, perché le rassicurazioni fuorvianti servono a ridurre la richiesta da parte della gente di risorse non disponibili per affrontare il problema. Ad esempio, è una routine che le autorità sanitarie in India diano rassicurazioni eccessive all'opinione pubblica su varie epidemie per le quali non dispongono di scorte di vaccini o di antibiotici adeguate.

Indipendentemente dalla ragione per cui i funzionari italiani stanno cercando di far passare il messaggio che il virus pandemico non è diverso da una normale influenza, questa è una cattiva comunicazione del rischio."

Infine ci sono alcune parole anche per lo spot televisivo promosso dal Governo .

"E' ridicolo che sia tanto diffusa l'affermazione per cui la cosa più importante che le persone possono fare per ridurre il rischio di contrarre l'influenza è lavarsi le mani. Anche questo messaggio fa parte di uno schema di iper-rassicurazione, ma esistono ben pochi dati scientifici a sostegno dell'idea che l'influenza si trasmetta in modo significativo a causa dei virus presenti sulle mani delle persone, o che un lavaggio frequente delle mani riduca materialmente i rischi di contagio influenzale. " Insomma, lavarsi le mani è bene ma non basta, il vaccino sarebbe utile ma... perché farlo se l'influenza A è una normale influenza? Il sospetto che si tratti di una pandemia mediatica creata dalle multinazionali fa allora presto a diffondersi in rete.

In un periodo in cui, come evidenziato anche in un editoriale pubblicato recentemente su Nature, viviamo una generale sfiducia nelle autorità - non solo politiche ma anche per esempio nelle agenzie regolatorie e nella ricerca stessa- il danno di una pessima campagna informativa può essere molto grande.

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