Ieri a Padova si è svolto il convegno "Ricerca, l'Italia che merita".
Non è banale valutare la qualità della ricerca, però esistono delle basedati online, come per esempio Scimago, che permettono di fare qualche confronto sia tra settori disciplinari che tra paesi.
Valutata in termini di volume di risultati, a farla da padrone - in Italia, come praticamente ovunque - è la ricerca biomedica (dove del resto la pressione a pubblicare è piuttosto forte).
Nel settore biomedico nonostante la precarietà dei ricercatori (tanto per fare un esempio nella facoltà di Medicina dell'Università Torino - posizionata al secondo posto dopo la Statale di Milano per produttività scientifica, secondo una valutazione del Censis - il 70% del personale che fa ricerca è precario), nonostante il sottofinanziamento degli atenei, nonostante i tagli costanti, come paese risultiamo sesti, ovviamente dietro US e UK, irraggiungibili, ma non troppi distanti dal quinto posto della Francia. A fronte del fatto che i ricercatori nel nostro paese sono 92 mila, contro i 255 mila della Germania, i 154 mila dell'Inghilterra, i 150 mila della Francia.
Il futuro invece è sempre più incerto. Se passerà la nuova riforma delle università, sparirà la figura del ricercatore (tutti precari, mal comune mezzo gaudio) e non si capisce come il meccanismo di reclutamento, per il quale oggi la regola è che il merito è condizione accessoria (non sempre necessaria e quasi mai sufficiente), possa diventare più trasparente. Dall'interno dell'università la sensazione è di una smobilitazione generale del sistema . Insomma, si salvi chi può, la ricerca oggi in Italia, e per molti precari l'uscita di sicurezza è emigrare in un altro paese.
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