mercoledì 9 giugno 2010

H1N1: attenti alle bufale

A guardare la copertura mediatica che è stata data all'inchiesta condotta dal BMJ e al rapporto del Parliamentary Assembly of the Council of Europe (PACE) si direbbe che il grosso scandalo dell'infuenza H1N1 è stato finalmente scoperto.

Quando però i giornali - che parlano di rischi gonfiati, di bufala mediatica, dei grandi affari di BigPharma - non riportano anche l'opinione della maggioranza del mondo scientifico piuttosto critico (vedi CIDRAP, New Scientist, Nature) verso le conclusioni dell'inchiesta del BMJ, implicitamente avallano il ragionamento che se i governi hanno fatto contratti ingiustificatamente vantaggiosi per le aziende farmaceutiche, se il virus non è stato letale come si pensava, allora la pandemia è stata tutta una montatura.

Le cose però non sono così semplici. Innanzitutto perché non sono ancora disponibili tutti i dati scientifici per valutare cos'è stata in termini di mortalità la pandemia. Anche se, i primi dati alla mano, sembrerebbero suggerire che è stata più severa di quanto viene percepito. Il virus ha infettato di più i giovani e ha causato più morti tra questi. Per cui, se si guarda al numero di anni di vita persi, anche nelle stime più conservative, il virus pandemico avrebbe avuto un impatto due volte superiore a quello dell'influenza stagionale.

Tornando però al BMJ, sono i semplici fatti che non supportano le congetture dell'inchiesta . "Niente potrebbe essere più lontano dalla verità" delle conclusioni a cui sono arrivati i giornalisti inglesi, spiega in maniera dettagliata Decan Butler in un articolo su Nature.

La questione chiave - al centro dell'inchiesta - è se le aziende farmaceutiche hanno avuto modo di esercitare pressioni sul WHO per far dichiarare la pandemia. La conclusione è stata che "la dichiarazione della pandemia ha attivato i contratti". I fatti però raccontano un'altra storia. E cioè che molti paesi - tra cui UK, Francia, Belgio, Finlandia, Canada, Paesi Bassi e Svizzera - avevano ordinato il vaccino H1N1 una settimana prima che il WHO dichiarasse la pandemia l'11 giugno. Gli Stati Uniti avevano fatto le loro ordinazioni addirittura il 22 maggio. In nessun modo le decisioni del comitato di emergenza possono aver influito.

L'altro punto importante è il momento in cui il WHO ha rivisto i criteri su ciò che costituisce una pandemia, eliminando la necessità di una valutazione della 'gravità', sulla base di stime di mortalità.

Una cronologia precisa della questione "definizione" la trovate qui. Potete farvi un'idea.

Ma quel che manca, sia nell'inchiesta di BMJ che nel rapporto del PACE, sono le prove a sostegno del fatto che il WHO ha affrettato la decisione di dichiarare la pandemia per far aumentare le vendite alle aziende farmaceutiche.

Tutti gli esperti del settore hanno più volte ripetuto che è impossibile prevedere come evolverà una pandemia. Non è sorprendente allora che i consulenti di un comitato di emergenza suggeriscano l'unica cosa ragionevole, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili, e cioè iniziare la produzione di vaccini e fare scorte di antivirali. E l'osservazione più pertinente è allora quella di Marc Lipsitch, epidemiologo alla Harvard School of Public Health, per il quale è ironico che proprio nel momento in cui assistiamo, nel Golfo del Messico, ai catastrofici risultati di una pianificazione basata sul "miglior scenario possibile", si critichi così tanto il WHO per essersi preparato al peggio.


 

+ Il WHO risponde a BMJ sul conflitto di interessi

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