Imprecisioni su imprecisioni nello spiegare il ddl Gelmini. Oggi anche nell'editoriale di Irene Tinagli pubblicato su La Stampa. Andiamo per ordine. Ecco come viene presentata la riforma:
Dopo il movimentato travaglio delle ultime settimane è stata finalmente approvata alla Camera la Riforma dell'Università. [...] La domanda che molti cittadini si fanno di fronte a questo drammatico acutizzarsi delle proteste è se davvero, come suggeriscono i leader dell'opposizione, questa riforma distruggerà l'Università italiana, rendendola meno competitiva, meno efficace, meno accessibile, finendo addirittura per dimezzare nei prossimi anni le già basse iscrizioni universitarie, come hanno profetizzato alcuni. No, la riforma non ucciderà l'Università italiana. Non distruggerà l'Università il fatto di aver reso a tempo determinato i contratti per ricercatori, così come avviene in tutti gli altri Paesi.
E' vero che la riforma Gelmini introduce la cosiddetta tenure track, che sarebbe una cosa molto bella se non fosse una fregatura all'italiana. I sistemi universitari che prevedono la tenure track danno la garanzia di essere assunti a tempo indeterminato e lo fanno sobbarcandosi l'onere di finanziario di tutta la carriera del ricercatore con tenure (accantonando da subito la somma necessaria o procurandosela in seguito) fatto salvo naturalmente il giudizio di merito sull'attività di ricerca.
Questo non succede con il ddl Gelmini, che, per norma esplicita, vincola l'assunzione a tempo indeterminato alla disponibilità di fondi dell'ateneo. Cioè non è affatto scontato che coloro che otterranno l'idoneità nazionale al termine del percorso della tenure track verranno assunti come professori associati.
Per capire bene cosa questo significa bisogna avere idea di come funziona il meccanismo dei concorsi universitari. In genere le cose vanno così: nel consiglio di facoltà il preside dichiara di essere riuscito ad ottenere i fondi per bandire poniamo 4 o 5 posti da ricercatore mentre ci sono magari 30 precari in attesa. Il concorso consiste prima di tutto nell'ottenere che venga bandito un posto per il proprio settore scientifico disciplinare, e questo richiede che l'ordinario di riferimento sia organico a una maggioranza di consiglio di facoltà. Solo dopo c'è il concorso, quello pubblico, quello più o meno aperto, per far vincere il candidato locale (che peraltro può essere anche uno molto bravo) sul posto bandito.
Ora, supponiamo che in un dipartimento ci siano 10 ricercatori con tenure track. Se fossimo in una università americana, l'ateneo avrebbe l'obbligo di accantonare i fondi per l'assunzione a tempo indeterminato per tutti i 10 ricercatori, salvo il giudizio di merito basato sull'attività di ricerca, quindi qualità e quantità di pubblicazioni (particolare non da poco: negli US le tenure hanno una durata di 5 anni, permettendo di essere valutati su progetti di ampio respiro).
Con il ddl Gelmini, invece, la chiamata ad associato è vincolata alla disponibilità finanziaria dell'ateneo che potrebbe pertanto non avere il budget per la chiamata di tutti, idipendentemente dal merito. Di diverso da oggi cosa succede? Che quelli che non hanno ottenuto la tenureo la chiamata pur essendo meritevoli per i motivi sopra citati, dopo un massimo di 8 anni di contratti precari saranno fuori dall'università senza nessun percorso di garanzia al contrario anche in questo caso di quanto avviene all'estero. Provate a fare colloqui di lavoro scrivendo sul curriculum di avere un dottorato...
Si legge sempre nell'editoriale:
No, non è tanto la riforma di per sé che arrecherà danno all'Università e alla ricerca, ma due cose ben distinte. La prima è la carenza di fondi
, che nonostante la riduzione dei tagli resta un problema, ma che non andrebbe mischiato con la questione delle norme introdotte dalla riforma.
La via dell'inferno è sempre lastricata di buone intenzioni. Le riforme dovrebbero essere contestualizzate al sistema, come un farmaco va dosato in base allo stato del paziente e non solo sulla diagnosi di malattia. Ma se anche fosse, secondo la Gelmini l'Università i soldi li ha - è una cosa che ripetuto spesso. Il vero problema, sempre per la Gelmini, sono gli sprechi. Manca la constazione che l'università è endemicamente sottofinanziata e ha prima di tutto bisogno di investimenti.
Tuttavia è difficile ravvedere nello spirito complessivo della riforma e nei suoi punti chiave qualcosa che possa veramente causare una distruzione dei diritti dei giovani, degli accademici, dei ricercatori.
Irene Tinagli lavora in un'ottima università americana. Col ddl Gelmini, se la sentirebbe di barattare gli States con una tenure track italiana, non perché lo debba fare naturalmente ma perché pensa che siano la stessa cosa? Questa sarebbe un'università in grado di attrarre giovani promettenti stranieri? capace di convincere a restare i tanti che invece hanno deciso di andarsene?
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