giovedì 10 aprile 2008

Scienza 2.0: promessa o pericolo?

Welcome to a Scientific American experiment in "networked journalism".

Sta prendendo forma l'articolo collaborativo, di prossima pubblicazione su Scientific American, che si propone di descrivere come i wiki, i blog e gli altri strumenti del Web 2.0 stanno entrando nel mondo scientifico cambiando, forse, il modo di fare ricerca.

Come spiega Christopher Surridge- editor di PLoS ONE, la rivista scientifica online ad accesso libero e gratuito della Public Library of Science che ha inaugurato l'open peer review: i lettori possono commentare, votare gli articoli e aiutare gli autori a migliorare il loro lavoro- la scienza non si esaurisce nell'evidenza sperimentale ma è il frutto di un processo di discussione dei metodi e dei risultati. La critica, la condivisione di idee e la comunicazione dei dati, anche al di fuori del canale della pubblicazione peer-reviewed, sono strumenti potenti per costruire nuove conoscenze. I blog, i siti Web collaborativi (wiki), le social networks si adattano perfettamente a questo modo di intendere la ricerca.

L'OpenWetWare Project del MIT è un esempio di successo su come utilizzare un wiki per tenere aggiornato il proprio lavoro. Una pubblicazione peer reviewed descrive un metodo e i risultati ottenuti dalla sua applicazione. Ma sa bene chi fa revisione sistematiche di lavori scientifici, e si imbatte nel problema del pubblication bias, che molti studi, in assenza di risultati significativi, non vengono pubblicati. Tenere un diaro online aperto a tutti della propria attività scientifica di laboratorio, significa essere completamente trasparenti anche su tutte le idee che non hanno funzionato.
Col rischio però che i diari di ricerca online possano diventare terreno di saccheggio di idee, un problema non da poco in tutti i settori, come quello biomedico, altamente competitivi, dominati dalla corsa ai brevetti - il tipico consiglio legale è non divulgare nulla prima di avere registrato l'authorship- ed alle prese con i problemi legati alla privacy dei dati.

E i blog?
"Scientists don't blog because they get no credit."
Su circa 50 milioni di blogs, Bora Zivkovic, autore di A Blog Around the Clock e Online Community Manager di PloS ONE, stima che circa 1000-1200 sono tenuti da scienziati (ecco la lista dei magnifici 50 pubblicata su Nature).
E capita non di rado che il maggior numero di commenti si conti quando i post sono un cocktail di scienza+politica+religione. E' lo stesso Paul Myers, il blogger di maggior successo, ad ammettere che il suo Web log non sarebbe tanto popolare se trattasse soltanto di temi scientifici.
Ed infatti molti considerano il tempo speso online come tempo rubato alla prossima pubblicazione - soprattutto i giovani ricercatori per i quali la strada maestra rimane pubblicare il più possibile in riviste peer reviewed - mentre chi commenta, specialmente se a scrivere sono studenti, si attiene, spesso, alla regola dello pseudonimo: nel dubbio meglio non offendere professori suscettibili.

Allora, camberà davvero il modo di fare ricerca la Scienza 2.0? Per Bora Zivkovic i tentativi online collaborativi che stanno proliferando sono come un processo darwiniano. Per il 99% si tratta di idee destinate a morire, qualcosa però ne verrà fuori e si diffonderà.
Ma vale la pena ricordare anche la lezione del grande matematico Alain Connes: quel che conta è la solitudine, per trovare qualcosa di veramente originale bisogna essere soli.

Nessun commento: