sabato 2 maggio 2009

Febbre suina: una settimana dopo

In deferente ossequio all'industria della carne (e dei macelli) il WHO ha pensato di dare un nuovo nome all'influenza suina.  Gli allevatori di maiali stanno facendo troppe pressioni - salvo spiegare cosa succede nei loro allevamenti intensivi, e questa è una storia che meriterebbe di essere raccontata - e allora non sentiremo più parlare di febbre suina  ma di una sigla, più neutra: A /H1N1 -  SIV (Swine Influenza Virus) non sarebbe male, vero?  A chiamarla Messicana ci penserà poi la stampa. 

Fatta la dovuta precisazione che non c'è alcun rischio nel mangiare carne suina, seguire una dieta vegetariana, almeno per un po' di tempo, non può che far bene alla salute in generale.

 

La novità assoluta di questa allerta sanitaria sta nel fatto che per la prima volta possiamo seguire tutti in tempo reale l'evolversi di un sostanziale rischio pandemico attraverso il web:

HealthMap  che permette di monitorare i casi e tracciare la diffusione dell'epidemia, con gli aggiornamenti su Twitter;

- gli aggiornamenti dell'emergenza dai Centers for Disease Control and Prevention, sempre su Twitter, ed i press briefing (il WHO ha scelto un approccio un po' più tradizionale con degli aggiornamenti giornalieri sul suo sito); 

- il FluWiki Forum per tenere d'cchio cosa succede nel mondo;

- con un grado di sofisticazione in più, in parecchi (nei dipartimenti di bioinformatica e biologia molecolare) hanno dato un'occhiata alle sequenze dei virus, rilasciate dal CDC nel database pubblico dell'NCBI, ricostruendo alberi filogenetici.

 

L'atteggiamento molto reattivo del CDC è stato importante in queste prime fasi. Portando il livello di allarme alla fase 5, anche il WHO, dopo i primi tentennamenti, ha fatto una cosa molto importante, mobilitando l'attenzione e le risorse necessarie per fronteggiare un sostanziale rischio. Bisognerebbe però anche ricordare che i paesi più esposti sono quelli del Terzo Mondo, in particolare i paesi africani, dove, con poche eccezioni, mancano completamente le strutture e i mezzi per far fronte ad una pandemia. 


A tutto questo si aggiunge il fatto che questa emergenza permetterà di ottenere informazioni utili sulle dinamiche di trasmissione dei virus dell'influenza.Un po' di confusione può derivare dal fatto che i casi confermati dal WHO non sembrano essere molti. Questi però non sono tutti e soli i casi reali per una serie di ragioni che vanno dal fatto che non tutti i casi sono stati raggiunti, che alcuni non sono stati diagnosticati, etc. 

Quel che genera l'allerta è il fatto che ci si trova di fronte ad una nuova varietà di virus alla quale, almeno fino a prova contraria, non ci sono soggetti immuni. La variabile che determina la diffusione di un'infezione è il cosiddetto basic  reproduction number, che misura quante persone mediamente  possono essere contagiate da un individuo infetto. Se il basic reproduction number nelle fasi iniziali di un focolaio ha un valore minore di 1, l'epidemia non si sviluppa. Gli interventi di sanità pubblica che permettono di  abbassare il valore di questa variabile sono la risposta chiave per il contenimento di un rischio pandemia. Stimare il basic reproduction number non è facile, e di qui l'incertezza di come la situazione può evolvere, ma cercare di abbassarlo significa fare cose banali come suggeirre di lavarsi spesso le mani, mettersi la mano alla bocca prima di starnutire, oppure consigliare l'utilizzo di mascherine o limitare i contatti tra le persone, chiudendo le scuole etc. 

 

Nei giorni scorsi si è parlato molto, proprio sui media, di psicosi pandemia. Come scrive Ben Goldacre sul Guardian, mettendo l'accento su una montatura che sovrastima rischi che poi non si materializzano come la SARS e l'aviaria (speriamo!) sono i media stessi a dimostrare di non credere più nella loro capacità di descrivere i fatti.

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