Dal bell'articolo sul Grant Study di J.W. Shenk pubblicato su The Atlantic.
[George] Vaillant raccontò la storia di uno dei campioni del Grant Study, un dottore, un marito amato e amorevole. Per il suo 70° compleanno, arrivato il momento di lasciare la facoltà di medicina, sua moglie si procurò una lista dei pazienti che aveva curato e contattò molti di loro: "Vi farebbe piacere scrivere una lettera di ringraziamento?" Ricevette 100 affettuose lettere, molte con tanto di fotografia. Le ripose in una bella scatola rivestita di seta e ne fece un regalo al marito. Otto anni dopo, Vaillant intervistò [secondo il protocollo del Grant Study] l'uomo, che prese la scatola dallo scaffale e la mostrò orgogliosamente. Poi, "George, non capisco cosa tu voglia farne" e incominciò a piangere, " io non le ho mai lette!" "E' molto difficile per molti di noi accettare di essere amati" concluse Vaillant.
E poi c'è la storia numero 158. Un tipo "solido", posizione di responsabilità; iniziano i problemi sul lavoro e quando moglie e madre si ammalano. Non regge più la pressione, si licenzia, non lavora più e non fa che ripensare in maniera osssessiva per il resto dei suoi anni alle sue dimissioni. Sembra che il tempo si sia fermato a quel giorno. Eppure si dichiara una persona felice.
A dispetto delle conclusioni che poi trasse dal Grant Study, Vaillant pensava che le emozioni positive rendessero più vulnerabili rispetto a quelle negative. Forse, più semplicemente, la felicità è una storia senza senso che raccontiamo a noi stessi, e che non ha nulla a che vedere con le nostre emozioni.
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