Le cattive notizie sulla marea nera del Golfo del Messico arrivano da Silvia Gaus, biologa al National Park Wattenmeer secondo cui, nonostante alcuni successi a breve termine nella lavaggio degli uccelli ricoperti di petrolio, pochi hanno reali chance di sopravvivere. Secondo alcuni studi, citati dalla Gaus, infatti la probabilità di sopravvivenza a medio termine degli animali trattati sarebbe dell'1% .
Inoltre, sempre secondo l'esperta:
" la cattura e la ripulitura sono eventi che provocano uno stress potenzialmente letale all'animale; il carbone attivo e le altre sostanze che si somministrano per prevenire gli effetti velenosi dell'ingestione del petrolio non sono efficaci, e gli uccelli muoiono per problemi al fegato e ai reni. Molto spesso la prima causa di morte in questi casi è la fame: quando gli uccelli sono ricoperti di petrolio infatti iniziano a pulirsi da soli con il becco e la lingua, e questo istinto prevale su quello di nutrirsi finchè non si sentono puliti".
Questa l'opinione di Silvia Gaus per la quale sarebbe quindi meglio l'eutanasia alle cure e al recupero. Però ci sono altre esperienze e altri dati che dicono tutt'altra cosa . L'International Bird Rescue Research Center (IBRRC) è un centro specializzato nel trattamento e nel recupero degli animali vittime di disastri ambientali. Dal 1971, l'anno della sua fondazione, l'IBRRC è intervenuto nel recupero della fauna selvatica in più di 200 casi di pedite di petrolio e i dati che ha raccolto, evidentemente ignorati dalla Gaus, si possono consultare qui e qui.
In sintesi questi dati ci dicono che ogni perdita di petrolio è una storia a sé e che il tasso di sopravvivenza degli uccelli dipende da molte variabili: la temperatura dell'acqua, la tossicità del materiale disperso, il tempo perso nel soccorrere gli animali e la loro condizione prima di venire ricoperti di petrolio.
La probabilità che un uccello trattato venga recuperato e rilasciato nel suo ambiente varia tra il 25% e il 100%. Naturalmente un animale rilasciato può morire poco tempo dopo, ma anche in questo caso i dati dicono che i tassi di sopravvivenza sono molto variabili e vanno da un minimo dello 0.7%-1.3% (il peggior scenario possibile, quello di Silvia Gaus) ad un 80%-90%.
Con quale ragione preferiamo uccidere gli uccelli adottando una strategia basata sul peggior scenario possibile? E se anche fosse, il peggior scenario possibile, un'eventualità verosimile, poiché alcune specie colpite dal disastro della BP sono a rischio estinzione, salvare anche pochi esemplari potrebbe avere un enorme impatto sul mantenimento della diversità genetica.
Pensateci un attimo: noi consumiamo petrolio, inquiniamo l'ambiente, quell'ambiente che dovremmo condividere, e lo facciamo molto egoisticamente, con le altre specie animali. Abbiamo un debito nei loro confronti, l'obbligo morale di curare e salvare il maggior numero di animali, di recuperare tutta la fauna selvatica. Abbiamo il dovere di impiegare tutta la tecnologia a nostra disposizione senza speculare sui costi. Ogni vita ha un valore immenso, che sia di un umano o di un'altra specie animale.
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