martedì 28 dicembre 2010

Il vero volto della riforma Gelmini

La protesta contro la riforma Gelmini  ha sempre ribadito l'importanza di un'Università pubblica e libera. E ci siamo sempre chiesti - ricercatori, precari e studenti - cosa ne sarebbe stato della nostra Università con il nuovo ddl. Il parere del Consiglio Universitario Nazionale al Decreto “Linee generali d’indirizzo della Programmazione dell’Università per il Triennio 2010-2012" svela in parte il vero volto della riforma-necessaria secondo tanti.

Prima di tutto il merito, in base al quale dovrebbero essere distribuiti i fondi. Ecco il parere del CUN secondo cui sussiste 
un’ambiguità di fondo nella previsione di obiettivi di premialità e di programmazione [..] la pur condivisibile logica incrementale [dell'assegnazione dei fondi, ndb] (basata sulla valutazione delle performance), risulta di difficile applicazione, in presenza di risorse costantemente decrescenti che determinano performance mediamente negative.
Inoltre
l’inevitabile rinvio nella presentazione dei Piani da parte degli atenei comporterà l’impossibilità di una valutazione comparata su miglioramenti e peggioramenti prima del 2012, e che l’esito della valutazione si applicherà comunque alla ripartizione di una somma esigua che passerà dai 64 milioni di euro del 2010 ai 44 del 2011 con la previsione di una ulteriore riduzione di 18 milioni a seguito della approvazione del DDL 1905-B [il ddl Gelmini, ndb]. Sembra quindi opportuno procedere a una rapida distribuzione dello stanziamento 2010 secondo le modalità vigenti. 
Eh sì, perché arrivati praticamente al 2011 i fondi del 2010 non sono ancora stati stanziati. Avendo bene in mente che con questa riforma l'Università avrà ancora meno fondi, vediamo anche chi è a guadagnarci. Secondo il CUN, la riforma produrrà una 
incomprensibile asimmetria fra atenei statali e non statali nella gestione delle modifiche dell’offerta formativa
che in pratica impone agli atenei statali una  regolamentazione tale da costringerli a ridurre l'offerta formativa. Ad avvantaggiarsi saranno in maniera spropositata le università telematiche (Catia Polidori, do you remember?) attraverso una
una procedura autorizzativa molto semplificata che consente l’istituzione di una nuova tipologia di Università, attraverso un canale autonomo e parallelo al sistema esistente, alla sola condizione che essa disponga di una piattaforma tecnologica tecnicamente idonea a fornire didattica a distanza, ma senza che siano definiti i requisiti di qualità necessari e previsti gli indispensabili controlli e garanzie.
Infatti
nella maggior parte dei casi le università telematiche sono state “accreditate” con Decreto del Ministro, malgrado il parere negativo espresso dal CNVSU e che in tutti i casi in cui sono state predisposte le verifiche ispettive previste dell’art. 7 comma 3 del Decreto Interministeriale 17 aprile 2003 i pareri espressi sono risultati negativi, senza che siano stati per questo assunti provvedimenti conseguenti.
La riforma Gelmini in sostanza favorisce un preoccupante
fenomeno di proliferazione delle università operanti in Italia, difficilmente prevedibile nelle sua portata e suscettibile di squilibrio e irrazionalità nel sistema e insieme tale da  favorire l’espansione della formazione superiore non statale con il contestuale ridimensionamento del sistema pubblico, rispondente esclusivamente a motivazioni di contenimento della spesa pubblica e senza adeguate misure che garantiscano la qualità delle nuove Università, evitando il degrado progressivo della formazione superiore in Italia.

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