In 2008, Paolo Zamboni, a vascular surgeon from the University of Ferrara in Italy, hypothesized a new cause of multiple sclerosis (MS). He pointed to abnormalities in the veins draining the brain and spinal cord, a condition he called chronic cerebrospinal venous insufficiency (CCSVI). Zamboni proposed that unblocking the veins by mechanically widening them can improve the symptoms of the disease. He termed his treatment 'the liberation procedure'.
Si inizia parlando del dr. Zamboni e della sua terapia di Liberazione contro la sclerosi multipla nell'articolo dal titolo The rise of people power sull'ultimo numero di Nature. E' una storia esemplare di quanto i social media entrino nel quotidiano della ricerca.
Nel 2008, Paolo Zamboni, chirurgo vascolare presso l'Università di Ferrara, ha avanzato l'ipotesi che un’occlusione parziale o totale del reflusso venoso dalla testa, una condizione che ha chiamato Insufficienza Venosa Cronica Cerebrospinale (CCSVI), potesse essere correlata ai sintomi della sclerosi multipla. Se le vene importanti in pazienti affetti da sclerosi multipla sono bloccate, Zamboni ha proposto un trattamento di angioplastica dilatativa che liberandole ripristini il normale flusso del sangue, definendo questa terapia "intervento di Liberazione". Su 65 pazienti Zamboni trovò che chi aveva una forma di sclerosi multipla recidivante-remittente della malattia aveva meno ricadute dopo l'angioplastica, mentre i pazienti con forme progressive mostrarono uno scarso miglioramento.
I dati iniziali pubblicati da Zamboni mostravano come la disfunzione venosa fosse presente nel 100% dei malati e fosse completamente assente nelle persone sane. La teoria di Zamboni, che è assolutamente nuova rispetto all'opinione prevalente che la sclerosi multipla è principalmente causata da una reazione autoimmunitaria dell'organismo, nella maggior parte dei paesi ha ricevuto scarsa attenzione in quanto le sperimentazioni di non hanno, per il momento, dato risultati decisivi. Alcuni studi infatti hanno messo in discussione i risultati di Zamboni, riscontrando l’occlusione delle vene anche in un quarto della popolazione sana e le ultime ricerche hanno mostrato come la CCSVI sia solo un po’ più frequente nelle persone malate che in quelle sane (Doepp et al.2010 e Sundstrom et al.2010) non trovando nessuna evidenza a favore di un'eziologia vascolare della malattia.
Nonostante questo, in alcuni paesi (Canada soprattutto e Italia) si è registrato un movimento alimentato da media e social network che chiede l'accesso immediato e gratuito alla terapia della Liberazione.
La cautela da parte dei clinici a trattare i pazienti con un intervento di angioplastica e la riluttanza a dare il via a costose sperimentazioni cliniche per valutarne l'efficacia, in assenza di risultati decsivi, ha portato molti pazienti a riunirsi in gruppi di sostegno per la terapia della Liberazione, attancando la credibilità della medicina tradizionale:
when CCSVI is introduced, the number of MS patients will drop
In meno di due anni, più di 500 gruppi su Facebook si sono dedicati alla promozione del trattamento di Zamboni con decine di migliaia di iscritti. Mentre per l'Italia l'interesse è legato al fatto che Zamboni è italiano ed opera a Ferrara, in Canada è legato al fatto che in questo paese c'è una prevalenza di malati di sclerosi multipla più alta che altrove e, apparentemente unico in Canada, è stato il ruolo svolto dai media che ha dato inizialmente molto peso alle notizie positive sulla terapia Zamboni.
Anche in risposta alle pressioni provenienti da questi gruppi, il Canadian Institutes of Health Research ha convocato un gruppo di esperti nel mese di agosto dello scorso anno per valutare l'ipotesi CCSVI. Il panel ha concluso che ulteriori studi osservazionali - per esempio, confrontando la frequenza di flusso anomalo di sangue venoso nelle persone con sclerosi multipla con quella di individui sani - devono essere condotti, ma in assenza di prove chiare e convincenti, interventi di angioplastica, con i conseguenti rischi per i pazienti, non sono opportuni in questo momento.
Il punto centrale dell'articolo di Nature però non riguarda tanto la storia di Zamboni quanto piuttosto come la rete sia oggi capace di influenzare la ricerca e dettare le priorità scientifiche. Non solo il tradizionale approccio di comunicare al pubblico i risultati scientifici sono inadeguati, un problema ancor più spinoso è se la pressione dei social media debba guidare decisioni realative al disegno ed alla tempistica degli studi clinici.
L'accusa di molti pazienti è quella di tardare l'avvio delle sperimentazioni sulla terapia Zamboni. Eppure oggi, la sperimentazione clinica è giustificata solo in presenza di un forte razionale biologico supportato da studi osservazionali e dal principio di equivalenza dell'efficacia di un nuovo trattamento (ovvero lo studio è giustificato soltanto per verificare se il nuovo trattamento equivale o è migliore di quello standard). Secondo gli editorialisti di Nature, può essere utile in rari casi condurre uno studio clinico prima che venga accumulata l'evidenza scientifica necessaria, per esempio, come nel caso della terapia della Liberazione se migliaia di pazienti scelgono di esporsi a rischi di procedure mediche non valutate.
Allo stesso tempo, però, per evitare che una quota crescente di risorse pubbliche venga destinata sotto la pressione dell'opinione pubblica alla sperimentazione di terapie che probabilmente si riveleranno inefficaci o dannose, uno sforzo maggiore dovrebbe essere dedicato a migliorare la cultura scientifica, anche dei media, e ambiare l'approccio alla comunicazione di molti scienziati che troppo spesso bollano come irrazionale l'emotività, comprensibilissima, di molte persone.
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