lunedì 28 febbraio 2011

A che punto è la riforma Gelmini


Gelmini, sempre lei: raccontare cos'è la disastrosa riforma Gelmini è ormai diventato una missione.
Ricordate qualche mese fa durante le proteste di studenti, precari, ricercatori cosa scrivevano tanti editorialisti? Tinagli su La Stampa, Mario Monti e Giavazzi sul Corriere, Ainis, etc: tutti, chi più criticamente chi meno, a sostenere che la riforma avrebbe migliorato l'Università. Nel mio ufficetto di precari abbiamo riso un sacco a leggere la Tinagli che immaginava scienziati stranieri riversarsi nelle università italiane a contenderci il posto; ora, per altri motivi, ridiamo molto meno.

A che punto dunque è la riforma Gelmini? Al punto che non si possono bandire assegni di ricerca in attesa dei decreti attuativi e dei nuovi regolamenti di ateneo; che non si possono bandire borse di studio e contratti per fare attività di ricerca, ovvero quegli strumenti utilizzati per assumere personale (non strutturato) che facesse ricerca. Nella mia facoltà il 70% del personale che fa ricerca è precario, non strutturato. Immaginate come possa andare avanti una facoltà di medicina che manda a casa il 70% dei suoi ricercatori, quelli precari?

E allora l'unico strumento per continuare ad essere pagati lavorando sono delle borse per attività di collaborazione alla ricerca. Fai ricerca con un contratto che non prevede che tu faccia ricerca... i ricercatori precari sono stati aboliti, il problema risolto! Ce li vedete voi gli scienziati stranieri che vengono qui a fare attività collaborativa alla ricerca?!

Però sto divagando. Dicevo, ricordate cosa scrivevano tanti editorialisti? tutti, chi più criticamente chi meno, a sostenere che la riforma avrebbe migliorato l'Università. In maniera molto candida il rettore dell'Università del Sannio (un barone, uno di quei baroni che tanti editorialisti dicevano essere contrari alla riforma..) si è lasciato andare a questa confessione:
Noi [rettori, ndr] stiamo facendo il massimo degli sforzi… Tra l’altro abbiamo collaborato per portare avanti la riforma, anche cercando di contenere le pressioni che venivano dal basso, dagli studenti, dai colleghi ricercatori. Ci siamo riusciti, la riforma è andata in porto, adesso il governo si deve impegnare nell’aiutarci con un piano decennale di attenzione, di incremento dell’Fondo ordinario (Ffo), perché le università italiane stanno avendo un momento difficile, ma particolarmente difficile è il momento delle università del Mezzogiorno, perché più difficile è il contesto
In sintesi, si scrive sul blog della Rete 29 aprile
se la protesta non è degenerata e la riforma è andata in porto è anche grazie a noi rettori, datecene conto (pagateci)
il 26 febbraio scorso, non in fumose dichiarazioni ma in solidi contenuti, la risposta del governo: si approva definitivamente il decreto milleproroghe, che quest’anno per la prima volta non consente una misura finanziaria, nota come sconto sui policlinici, con cui si è consentito negli ultimi anni agli atenei di poter procedere ad assunzioni anche se in presenza di un bilancio che sfora il 90% nel rapporto tra spese fisse (stipendi) e fondo di finanziamento (Ffo).
In sintesi la risposta del governo: grazie, arrangiatevi. Mentre sempre nello steso milleproroghe il governo non lesina soldi e dilazioni alle multe sulle quote latte… 

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